Pages

martedì 21 febbraio 2017

Curarsi dei figli prima che si debbano curare

Nessun commento:
 
Negli intricati meccanismi che regolano l’economia di mercato, domanda e offerta sono più che interconnessi. Non sfugge a questa legge l’universo delle patologie della psiche, per cui non stupisca il fatto che migliaia di professionisti della cura già sul mercato e altrettante migliaia che gli opifici universitari sfornano ogni anno, siano anche il naturale volano per la creazione di nuovi disturbi e patologie, o per l’incrementare dei vecchi.

Attualmente di soli psicologi in Italia se ne contano circa 1 ogni 500 abitanti e nel solo 2016 altri 60.000 se ne sono laureati, se a questi aggiungiamo tutte le altre figure sorelle (psichiatra, neuropsichiatra, psicoterapeuta, psicanalista, psicomotricista, psicopedagogista) o disconosciute sorellastre (counselor, coach, etc.), è come se in ogni condominio ci fosse almeno un terapeuta del benessere psichico e, quindi, più di una patologia da trattare -o inventare.

[non a caso, per sopperire a tanta offerta, dopo l’investitura a norma di legge dello psicologo scolastico, molti iniziano a delirare sulla necessità dello psicologo di base (stesse necessità di mercato portarono tempo fa alla moltiplicazione delle insegnanti nella scuola elementare, con conseguenze tutte ancora da comprendere), così come è sempre più diffusa la nascita dii poliambulatori in cui convergono molteplici figure del benessere psicofisico spesso dispensando terapie più che sottocosto cui corrispondono, ovviamente, professionisti più che sottopagati e, forse (forse), cure un tanto al chilo]

L'interconnessione tra offerta e domanda attribuisce però, come si sa, anche un ruolo fondamentale a quest’ultima. Infatti, insieme alla spinta esorbitante dell’offerta, a generare il preoccupante incremento dei casi in età pediatrica (in particolare quelli di “disabilità intellettiva”, ma non solo), contribuiscono anche atteggiamenti inadeguati strettamente connessi agli attori che -appunto-strutturano la domanda.

Ci riferiamo, in particolare, alla sempre più diffusa deresponsabilizzazione educativa delle istituzioni, famiglia e scuola in testa -che, invece, se ben riportate nell'alveo del loro mandato e supportate da adeguati strumenti formativi, potrebbero essere il più efficace strumento di prevenzione di molti disagi, disturbi, patologie che, invece, finiscono per trovare la diagnosi quale unica soluzione di conforto.

Disturbo dello sviluppo e del linguaggio, disturbo specifico dell’apprendimento, disturbo dell’attenzione (con o senza iperattività), disturbo oppositivo provocatorio, disturbo d’ansia da separazione, depressione infantile, cutting e altre forme di autolesionismo, dipendenza da internet e videogiochi, ritiro sociale e auto reclusione… etc.

Con diverse vesti e motivazioni, prolificano dunque le diagnosi psichiatriche, tanto che negli ultimi anni sono più che triplicate, così da certificare almeno un minore su quattro, con conseguente percorso terapeutico (of course) e, per quel che concerne la scuola, piano didattico personalizzato nonché, laddove occorre, educatore di supporto o insegnante di sostegno.

Un minore su quattro è davvero un dato mostruoso, significa che in ogni classe abbiamo almeno uno o più studenti con qualche problematica che necessitano, quindi, di una didattica speciale che -ahinoi- la nostra scuola (sia per risorse economiche, che per formazione -tranne i soliti casi più unici che rari) non è per nulla in grado di garantire.

Ora, cerchiamo di capirci: o queste diagnosi restituiscono uno scenario reale, e allora dovremmo seriamente preoccuparci, pensando anche a una riconfigurazione della scuola che tenga conto di questa pandemia; o il sistema-diagnosi ci ha un po' preso la mano e stiamo etichettando una generazione costringendola a confrontarsi con problemi che -di fatto- non ha; oppure, come io credo, c'è qualcosa di distorto nell'intero sistema educativo che prima produce il problema, poi lo certifica, quindi cerca di curarlo senza minimamente interrogarsi su quanto sia lui il malato.

In una recente pubblicazione ("Primo, non curare chi è normale", in libreria per i tipi di Bollati Boringhieri), il noto psichiatra americano Allan Frances ribadisce ciò che da tempo andiamo denunciando: la delicatezza con cui andrebbe trattato ogni approccio diagnostico.

In linea con Frances, la nostra esperienza, ci suggerisce con una certa inequivocabilità, quanto lavoro ci sia ancora da fare affinché ogni riduttivo utilizzo della diagnosi come strumento privativo, divenga semmai una risorsa attraverso cui leggere la realtà (o, meglio: una realtà) e, conseguentemente, riflettere su come operare su di essa e non, come troppo spesso accade, una gabbia che imprigiona la realtà in una o più definizioni fossilizzanti.

Il lavoro educativo su migliaia di casi con persone della più differente provenienza sociale e culturale, suggerisce, con sempre più evidenza, come la gran parte dei mal funzionamenti, dei disagi, dei disturbi e persino di alcune sindromi che colpiscono bambini e ragazzi (e che, quindi, domani, determineranno il loro essere adulti), sono -in maniera statisticamente rilevante- causati dall'inadeguatezza (oggi come mai) dei sistemi educativi, anzitutto genitoriali, che impediscono al soggetto una sana e adeguata crescita, andando ad incidere a livello psichico, come a livello fisico (non bastassero millenni di riflessioni, l'epigenetica ha stabilito, per sempre, quanto i nostri comportamenti e le nostre abitudini modificano il nostro apparato genetico).

Si pensi, per fare un solo semplicissimo esempio, alla drastica riduzione del sonno: diffusissima cattiva abitudine di tanti troppi bambini.

Il sonno, infatti, è correlato con importantissimi assi metabolici, sempre fondamentali tanto più durante l'infanzia e l'adolescenza, come, ad esempio quelli dell'ormone della crescita (GH) che supporta lo sviluppo dei tessuti e dei muscoli e viene rilasciato per lo più durante il sonno, ma necessità, per ben funzionare, che i bambini e i ragazzi dormano profondamente e non si sveglino per diverse ore (10-13 ore per i bambini in età prescolare, 9-11 ore per i bambini fra i 6 e i 13 anni, 8-10 ore per gli adolescenti).

Allo stesso modo il cortisolo (responsabile della regolazione degli eventi stressogeni) modifica i suoi picchi in condizione di privazione del sonno; Così come, la perdita del sonno altera il naturale innalzamento leptinico (un ormone proteico) notturno, impedendo un normale controllo della sazietà e incentivando il sovrappeso, quando non l'obesità, il rischio di diabete e di valori elevati di pressione arteriosa.

È sufficiente?

E ci siamo soffermati solo sul sonno. Vogliamo parlare di come mangiano i nostri bambini? Di quante ore passano davanti a videogiochi e affini? Di come vengono tanto protetti da non sopportare alcuna frustrazione? Di come hanno talmente ridotto lo spazio tra desiderio e sua realizzazione da maturare una atrofizzazione del desiderio stesso? Di quanto sono sedentari?

Potremmo continuare, ma immagino sia chiara, a questo punto, l’esposizione ai rischi cui stiamo sottoponendo le nuove generazioni e l'assurda ostinazione a non volersene occupare con anticipo, anziché ricorrere, poi, a interventi invasivi e etichettanti o, addirittura, farmacologici; quando in molti, moltissimi casi, basterebbe prendersene cura, ripristinando modelli educativi corretti e conformi all'evoluzione (involuzione?) della società contemporanea.

Per questo, nei nostri interventi cerchiamo, fin dove è possibile, di non coinvolgere direttamente i bambini e i ragazzi, ma di lavorare con i genitori, la scuola e, più genericamente, l'universo affettivo e educativo che circonda ogni giovane creatura affinché, sia a livello preventivo, che nelle situazioni di difficoltà conclamata, modificando le inefficaci modalità di intervento, scompaiono gli atteggiamenti disfunzionali, riconquistando le condizioni di benessere.


Ti è piaciuto l'articolo? Seguimi su Facebook...

Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per aver commentato.