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sabato 13 febbraio 2021

Emergenza Adolescenti

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Da un anno a questa parte sto dedicando ricerche e riflessioni alla straordinaria condizione storica che stiamo vivendo, per cercare di attenuare le diverse conseguenze che questo virus sembra imporre. 


Il trauma di questo imposto cambiamento, sta infatti facendo emergere tutte le fragilità che già brulicavano nel profondo e che, in diversi modi, abbiamo provato a restituire ben prima dell’arrivo del virus. 


Mi riferisco, in questo caso, alla fragilità delle agenzie educative, genitori in testa, e alla conseguente fragilità delle nuove generazioni, sottoposte a modelli, azioni, strategie, comportamenti, che dovrebbero tutelare e favorire la crescita di bambini e ragazzi. 


Chiunque si occupi di queste relazioni, osserva, invece, un anomalo surplus di disagio, mai registrato in questa forma negli anni passati. Una vera e propria esposizione al malessere a cui le agenzie educative non paiono saper porre rimedio preventivo, né supporto di emergenza. 


Viviamo un passaggio in cui molti dei legami fisici si sono interrotti, generando un senso di solitudine che colpisce i soggetti più fragili e, soprattuto tra gli adolescenti, rischia di alimentare reazioni disfunzionali. I fattori che portano a tale situazione sono molteplici. In un momento della vita potenzialmente carico di spinte telluriche, di necessità trasgressive, di opportuni atti di ribellione, di desideri prorompenti, amori, passioni, spinte di libertà e liberazione… tutti agiti che, repressi, finiscono per generare emozioni negative che il soggetto tenta di sopprimere legandosi, ad esempio, a forme di piacere patologico, in ottica sedativa delle emozioni dolorose che non riesce a gestire. Un modo per tentare di allontanarsi da tutto ciò che è per lui fonte di stress e di potenziale pericolo. 


E allora: abuso di videogiochi e social network, riduzione drastica delle ore di sonno o delle ore di veglia, disturbi dell’alimentazione, chiusure emotive e sociali. Tuttavia, tutte queste forme di evitamento non fanno, ovviamente, che peggiorare la situazione, che diventa esplosiva quando, inevitabilmente, il soggetto si trova a fare i conti con la realtà che, nel frattempo, ha continuato a porre le sue istanze per cui, evitamento dopo evitamento, tali istanze sono diventate una montagna che ora rischia di essere vissuta come non più scalabile. Così arriva la frustrazione, l’angoscia, l’insopportabilità delle richieste. 


Già prima del virus il concetto di futuro era instabile per queste nuove generazioni, ben più instabile di quanto normalmente non sia per un adolescente. Una generazione senza futuro su cui arriva un virus a palesare potentemente, in forma fisica, la minaccia del “no future". 


Oggi, quello che riferiscono molti ragazzi è una sorta di paralisi, un non saper che fare perché tutto pare portare a un vicolo cieco. E, se già prima era così, ora appunto il virus non ha fatto che aumentare la veridicità di questa tragica preveggenza. 


Non stiamo facendo il dovuto sforzo, come comunità adulta, per comprendere cosa significa per un bambino e, soprattutto, per un adolescente, convivere con questa situazione di clausura. Possiamo però, mano alle statistiche, osservare come siano drasticamente aumentate le sintomatologie ansiose fin in nei più piccoli (dai 18 mesi ai 5 anni), mentre tra i 6 e i 18 anni si evidenzia uno spropositato aumento di sintomi ossessivo-compulsivi, stress post-traumatici e sintomi di alterazione del pensiero, abbandono scolastico, ansia, attacchi di panico, aggressività immotivata, autolesionismo e pure tentato suicidio. Voglio essere chiaro: non mi riferisco a casi isolati. Parlo di una vera emergenza. 


La preesistente fragilità educativa che prima del virus, in una situazione di normalità, riusciva a mantenere in qualche modo in condizione non esplosiva questi fenomeni (esistenti ma, insomma, ancora da poter essere nascosti sotto il tappeto), ora si mostra nella sua inadempiente nudità. Insomma, posso illudermi che la mia casa costruita col fango sia sicura, ma appena arriva una pioggia un po’ coesistete la vedrò sciogliersi sotto i miei occhi. Ecco, la pioggia è arrivata e la casa si sgretola, solo che dentro c’è tutta una generazione che ne rimane sepolta. Sì, perché, sopra e sotto i casi eclatanti, quelli che proprio non reggono, si distende la diffusa massa di quelli che riescono a stare aggrappati a qualche scoglio, ma non per questo non accumulano sofferenza. 


Prendiamo uno tra i tanti capi di questa matassa che bene spiega, a mio avviso, il disagio in atto e la precarietà educativa che vi si contrappone. 


Secondo una mia personale statistica, dati raccolti da altri colleghi, nonché testimonianze dirette degli stessi ragazzi, un buon 70% degli studenti attualmente in Dad non segue le lezioni o, meglio, le segue ma intanto fa altro: videogioca, gironzola su youtube (o youporn), spippola sui socialnetwork, chatta su whatsapp, guarda lo schermo inebetito o, bene che vada, i più virtuosi, si portano avanti con i compiti e, comunque, non hanno quella che si dice una "partecipazione attiva". Accertato che, come ho detto più volte, la Didattica a Distanza, così come la stiamo vedendo, mostra davvero tutta la sua inefficienza: con docenti per lo più impreparati a gestirla e strumenti di output o input per lo più inefficaci o, per lo meno, usati in modo inefficace… cosa che mi spinge a pensare che gli studenti abbiano una loro ragione a disertarla… 


Questo accertato, la cosa inquietate non è appunto la fuga degli studenti dalla Dad, ma l’assenza di dispositivi educativi, sia nei genitori che nei docenti che, se ignorano, sono colpevoli ma che, drammaticamente, secondo la mia indagine: sanno, vedono, ovviamente non concordano, ma, come paralizzati, non sanno che fare per porre rimedio e, soprattutto, non sanno leggere questi e altri fenomeni come segni di un disagio diffuso. 


Questa immagine di impotenza della famiglia e della scuola di fronte al disagio dei ragazzi, questa paralisi che si evidenzia in tanti altri aspetti della relazione educatore/educando, va pensata anche come sguardo che i ragazzi stessi posano sulle generazioni adulte, ossia quelle generazioni che dovrebbero essere guida. Immagine che ha bisogno di palesare la sua solidità, sia per essere attentata, che -all’opposto- per essere riferimento di sicurezza. 


L’attuale incertezza dell’adulto, invece, la sua paralisi e incapacità ad agire, fanno decisamente più danni di qualsiasi mancato ascolto -per quanto importante possa essere. Famiglia e scuola, più di ogni altro soggetto sociale, sono oggi al centro di una drastica riduzione operativa in termini educativi, ben più squassante di quella che, negli anni Sessanta, movimenti politici, psicologi e sociologi si erano lanciati a pronosticare o auspicare. 


Entrambi questi attori che tanto incidono nella vita dei ragazzi, necessitano profondamente di rivedere le loro modalità operative contrapponendosi alla loro stesa fragilità non in grado di porre freno, né di permettere una reale contrapposizione, un fragilità che è immagine simbolo di un'epoca in cui, come dice qualcuno, dobbiamo constatare la fine dell'educazione, ma non ovviamente per celebrarne il de profundis, ma per capire da dove ripartire, in fretta e bene, anzi, benissimo. 


C’è in gioco il futuro dei nostri ragazzi e, quindi, potenzialmente, del mondo tutto. Le sfide che si pongono di fronte a loro sono enormi e ben più complesse di quelle che abbiamo dovuto sostenere noi. Si meritano il nostro aiuto, non la nostra pavida assenza.

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