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lunedì 18 settembre 2017

Il bambino in abile

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Siamo animali particolarmente abili a ritenere, in qualche modo, inabile chi non presenta abilità che corrispondano alle abilità di chi le definisce, per lo più imponendole con un qualche tipo di forza.

Per questo, troppo spesso, cadiamo nell'errore di considerare inabili i nostri bambini che, invece, la natura ha fatto appositamente inabili affinché si abilitino, come nessun altro animale, attraverso l'incontro con il mondo, dove sperimentare queste inabilità, raffinandole costantemente.

Un lunghissimo percorso che, a pensarci bene, non finisce se non con la morte; perché, a differenza degli altri animali, la nostra più grande abilità è proprio quella di presentare, in ogni fase della vita, un qualche tipo di inabilità e, quindi, essere costantemente chiamati a superarla, ad apprendere.

I bambini, con le loro inabilità, ci insegnano che l'essere inabili è, per noi umani, costitutivo. Dovremmo, dunque, considerare qualsivoglia inabilità un patrimonio della nostra specie, non qualcosa da "guarire" trasformandola in una definita abilità normante, ma qualcosa da "capire", accompagnandola a definirsi nella sua diversità e disponendo il mondo affinché sia in grado di accoglierla e non, come accade ad oggi, di ostacolarla.

Non a caso: Autonomia, Amore, Alienazione sono, come abbiamo cercato di descrivere nei precedenti articoli, tre principi cardine che accompagnano tutti i nostri interventi di cura: da quelli in cui la difficoltà di vivere appieno tali capacità si presenta in forma organica e, in qualche modo, indipendente dalla volontà del soggetto; a quelli in cui la difficoltà è direttamente generata da modalità inadeguate di approccio del soggetto al contesto in cui vive o, viceversa, da qualche inadeguatezza del contesto in cui il soggetto vive (ad esempio: la famiglia, la scuola, il lavoro, etc), fino a una terza e più sfumata categoria: quella in cui organicità del disagio e sue ricadute sulle inadeguate modalità di approccio a queste tre componenti, si mescolano in un tutto ostacolante e limitante in cui si fatica a comprendere quanto uno influenzi l'altro. 

Si tratta, come evidenzia questa descrizione, di un insieme che potenzialmente contiene l'umanità tutta, poiché ogni uomo, dal più integrato al più reietto, dal più performante al più menomato... costruisce sì il proprio benessere a partire dal grado di Autonomia che intrattiene con tutto ciò che è altro da sé, dall'Amore che riceve e dona, e dalla capacità di Alienarsi attraverso un intervento sul mondo in cui avverta il proprio contributo alla costruzione/definizione del mondo... ma il tutto entro un sistema altamente personalizzato e soggettivo che esclude qualsivoglia standardizzazione e si rimette alla casualità delle possibili combinazioni tra particolarità dell'individuo e particolarità del contesto in cui vive. 

Avremo così che un bambino affetto da una lieve dislessia, ma circondato da un contesto affettivo/educativo altamente ansiogeno che compromette, ad esempio, l'area dell'Autonomia (scolastica, ma non solo), può presentare problematiche tanto più invalidanti di uno stesso soggetto con un disturbo dell'apprendimento molto più grave, ma inserito in un sistema capace di normalizzare costruttivamente la sua difficoltà dando spazio alla possibilità del bambino di sperimentarsi, trovando il giusto equilibrio tra autonomia e richieste di aiuto.

Ciò significa che non esiste un livello di Autonomia, Amore e Alienazione per così dire: "adeguato", capace di garantire necessariamente una condizione di benessere; ma che ogni misurazione va fatta soggetto per soggetto, caso per caso, poiché è l'equilibrio tra queste tre aree che preserva dall'insorgere del malessere e tale equilibrio è strettamente legato al contesto personale e ambientale in cui vive il soggetto. 

Questa descrizione del disagio, che pare contenere ogni essere umano, bene corrisponde ai parametri dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che nel 2001 ha definito la disabilita come: la conseguenza di una complessa relazione tra la condizione di salute di un soggetto e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui questi vive. 

Si tratta di una definizione a mio avviso fondamentale e non tanto per circoscrivere il presunto disabile, ma soprattutto per mettere ognuno di noi a confronto con la nostra disabilità, iniziando a comprendere che siamo tutti, in qualche modo, dis-abili, poiché siamo tutti costantemente chiamati, nell'arco della nostra vita, a cercare di tenere in equilibrio Autonomia, Amore, Alienazione (si pensi alla vecchiaia come periodo universalmente critico in cui queste tre aree corrono il più intenso pericolo di compromissione). 

Viene così a cadere ogni scorretto alibi con cui ci trastulliamo costruendo rassicuranti categorie di confronto (normali e disabili, sani e malati, etc.) che, a mio avviso, impediscono di pensare un mondo in cui è la disabilità dell'uomo ad essere accolta e non invece questo mondo che, a partire da una falsa pretesa di normalità performante, ritaglia fette di sé in cui ghettizzare, governare, al limite accudire la disabilità.
Si tratta di uno sguardo differente rispetto al contemporaneo concetto di "diversamente abili" in cui sono edulcorati coloro che un tempo venivano definiti "handicappati". Il concetto di "diversamente abile" rimanda, infatti, inevitabilmente a un confronto in cui emerge l'idea che esista un'abilità di riferimento e che da questa ne discendano abilità diverse, comunque degne di essere accolte. 

Crediamo, invece, che una presa in carico della dis-abilità, come quella che abbiamo cercato di descrivere, abbia il grande merito di sfuggire a qualsivoglia parametro di riferimento (da qui la nostra diffidenza per le diagnosi), per riferirsi al soggetto in difficoltà (qualsiasi essa sia), nella sua irriducibile univocità di persona e costruire con lui il migliore contesto possibile in cui Autonomia, Amore, Alienazione trovino il giusto equilibrio generativo di benessere.

Questa è quella cosa che noi chiamiamo: "cura educativa".


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